Dal ghetto di Praga entrò a far parte del gotha culturale nella Roma della Belle Époque, in Italia fu consulente dei grandi collezionisti e delle nazioni che edificavano i loro musei, e “restituì” al Laocoonte vaticano il suo vero braccio. I diari inediti dell’archeologo ebreo Ludwig Pollak, nato a Praga nel 1868 e deportato ad Auschwitz nel ‘43, vengono finalmente tradotti dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e dall’Istituto Italiano di Studi Germanici. Entro settembre i primi 5 volumi di un totale di 25, conservati a Roma al Museo Barracco, saranno pronti.

Una fonte di informazioni per l’archeologia e il collezionismo

«La traduzione dei diari, inediti nella loro integrità, ci permette di mettere a disposizione delle fonti importantissime sia di interesse archeologico sia per la storia del collezionismo – spiega la responsabile del Museo Barracco Orietta Rossini -. Ma solo la prima parte del lavoro sui taccuini è finanziata. E’ un’opera aperta per la quale stiamo cercando altri sostenitori. I diari hanno anche un indiscusso valore umano, per il personaggio che raccontano e per la sua parabola esistenziale».

Il grande conoscitore d’arte nella Roma della Belle Époque

Pollak lascia da giovanissimo Praga, va prima a Vienna, dove studia archeologia e arte. Entra a far parte sin da subito in quell’entourage di intellettuali mitteleuropei che facevano circolare le idee. Con Sigmund Freud condivide una intensa amicizia. Pollak nei suoi viaggi si innamora di Roma e decide di restarci: era la Roma della Belle Époque, in piena trasformazione urbanistica, con moltissimi ritrovamenti archeologici importanti. Così l’archeologo diventa il consulente, la voce affidabile, il punto di riferimento per i collezionisti pubblici e privati, europei e americani: «Pollak rappresenta il grande conoscitore di antichità, tutti si rivolgono a lui, anche quelli che in quel periodo stavano costruendo i musei in Europa e negli Stati Uniti. – continua Rossini-, da Carl Jacobsen, industriale proprietario delle birrerie Carlsberg e fondatore della Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen, a John Pierpont Morgan, il grande banchiere americano, gli agenti del Metropolitan di New York, gli aristocratici russi, come il conte Stroganoff».

Il braccio ritrovato

«Pollak è collezionista, mediatore, si è formato nella scuola artistica di Vienna, fondata sulla ricerca della modernità – spiega il presidente dell’Istituto Italiano di Studi Germanici Roberta Ascarelli-. E’ un intellettuale mitteleuropeo che ha scelto l’Italia. Ed è qui che fa da cerniera tra mondi culturali diversi». Come archeologo intanto fa molte scoperte. La più importante quella del braccio del Laocoonte ai Musei Vaticani. Il gruppo scultoreo che raffigura Laocoonte e i suoi figli assaliti dai serpenti marini era stato restaurato nel 1500 con un braccio posticcio. Un giorno, passeggiando a Colle Oppio, Pollak trova e riconosce sul banco di un rigattiere il braccio originale della statua e gliela restituisce.

Il Braccio “Pollak” del gruppo del Laocoonte vaticano: nel 1905 il braccio fu riconosciuto e subito acquistato da Pollak, che lo pubblicò e poi ne fece dono ai Musei Vaticani

Rifiutò la protezione e fu deportato ad Auschwitz

L’archeologo si sente ormai cittadino di Roma, e dopo aver condiviso una profonda amicizia con Giovanni Barracco, dopo la sua scomparsa diventa il primo direttore del museo a lui intitolato. Anche dopo la parentesi della Grande Guerra, in cui è costretto a lasciare l’Italia, Pollak fa ritorno a Roma. «Lui aveva ottimi rapporti anche con il Vaticano, - continua Ascarelli - che si offrì di proteggerlo dai nazisti. Purtroppo non sappiamo molto di quel periodo perché i diari in nostro possesso arrivano sino al ‘33». Il resto dei taccuini e oltre 9.000 lettere furono infatti sequestrati e distrutti dalla Gestapo. «Non sappiamo per quale ragione, ma i nazisti li considerarono scomodi». Pollak rifiutò la protezione del Vaticano e il 16 ottobre 1943, durante “il sabato nero” del rastrellamento degli ebrei romani, i nazisti presero anche lui, la moglie e i due figli nella casa di Palazzo Odescalchi, in Piazza Santi Apostoli, per deportarli ad Auschwitz. Allo sterminio della famiglia è sopravvissuta soltanto la cognata di Pollak, che ha donato le collezioni, i cimeli, l’archivio, e i diari al museo Barracco.

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