Letteratura

Giorgio Manganelli, il rito di seppellire i suoi amici illustri

L'"obituary", il ritratto di un personaggio illustre appena morto, è uno dei generi giornalistici più pericolosi

Giorgio Manganelli, il rito di seppellire i suoi amici illustri

L'«obituary», il ritratto di un personaggio illustre appena morto, è uno dei generi giornalistici più pericolosi. Può sfiorare la letteratura o può precipitare nel manieroso, se non nell'ipocrita. Non a caso, in gergo, si chiama «coccodrillo». In realtà, più che un'arte è un rito. Servono compostezza, cuore puro ma inflessibile, una penna ripulita dai luoghi comuni, bugie sincere e verità sfumate. Lacrime e grazia.

Qualche anno fa, era il 2016, la regista Vanessa Gould, americana (gli anglosassoni sono i migliori nel campo degli obituary) girò un documentario, Obit, che raccontava il lavoro, i dubbi, il rigore e l'enorme archivio dei giornalisti della redazione necrologi del New York Times. Domanda: quante sono le parole necessarie a sintetizzare una vita?

Poi c'è l'aneddotica. Eugenio Montale, che lavorava lì, rubò dall'archivio del Corriere della sera il suo coccodrillo già pronto per leggerselo (e correggerlo). Quello di Monica Vitti uscì per sbaglio nel 1988 su Le Monde quando lei era più che viva. Mentre Indro Montanelli era meglio tenerlo lontano dai coccodrilli: li scriveva come se il personaggio fosse ancora vivo, senza pietà, raccontando in ugual modo le virtù, e va bene, e i vizi, e va un po' meno bene. Le famiglie del defunto raramente arrivavano alla fine del pezzo.

Poi c'è Giorgio Manganelli. Uno scrittore prestato al giornalismo, o un giornalista prestato alla letteratura, non si sa. I suoi obituary - non molti, ma altissimi - sono un esempio assoluto di scrittura. La figlia Lietta, che chissà quanti ne ha letti del padre, ha raccolto un gruppo di coccodrilli manganelliani sotto il titolo Il vecchio gioco di esistere (Hacca edizioni) rubando un rigo dal pezzo di addio che il Manga dedicò a Jorge Luis Borges, nel 1986; uno strepitoso excursus sul «nulla da dire» come destino della letteratura. Incipit: «Dunque Borges è morto: il vecchio gioco di esistere cessando di esistere ha tentato il grande vecchio scrittore».

Tra i giganti giornalisticamente sepolti da Giorgio Manganelli: Ernst Bernhard, psicoanalista junghiano, ebreo e tedesco. Manganelli incontra Bernhard nel 1957, dal '59 inizia una terapia, nel suo studio romano: tre incontri settimanali fino alla morte del Professore, nel '65 (lo scrittore lo definirà «l'uomo che mi ha insegnato a mentire»). Poi Mircea Eliade, storico delle religioni, antropologo, filosofo, orientalista, mitografo ed esoterista rumeno-francese morto nel 1986; Manganelli di lui ci lascia un'espressione definitiva: Eliade come «camminatore di labirinti». Poi Gastone Novelli (1925-68), pittore, figlio di una nobildonna austriaca, che per Manganelli inventò le splendide mappe per l'Hilarotragoedia.

Come ricorda Lietta, facendo a suo modo un bellissimo obituary di suo padre: «Nel ricordare la morte di amici e di illustri personaggi il Manga non ha mai espressioni di disperazione, di rabbia o di dolore inestinguibile.

La morte per lui fa parte della vita, anzi è la sua naturale conclusione, naturale, e in fondo non inattesa».

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