«Ci sono i georgiani dell’est e quelli dell’ovest. Quelli dell’est (dove è nato Stalin) sono più rozzi e pesanti, quelli dell’ovest sono più gai e leggeri. Ma una cosa unifica la Georgia, il sentimento che bisogna viverla la vita perché non dura a lungo». In questa definizione di Otar Iosseliani scomparso domenica scorsa a 89 anni c’era parecchio del suo umorismo, la sua caratteristica principale. Era un umorismo dalle tonalità differenti rispetto ad altri non meno caustici giovani registi provenienti dai paesi comunisti insofferenti a rigide regole e conformismo, ma molto più rilassato come si conviene a un artista del sud, di antichissima cultura, con secoli di tradizioni letterarie.

Sul set di «I favoriti della luna», con Amalric e Eisenchitz, foto di Getty

UN GESTO ce lo ricorda, come a scoprire uno scrigno prezioso, a sintetizzare il suo stile di lavoro: per parlare di un suo prossimo film srotolò la sceneggiatura su un tavolo , un foglio arrotolato lungo alcuni metri, allestito come spartito musicale, non solo a indicare immagini e sonoro, ma una misteriosa composizione ritmica arricchita da una quantità di elementi.

La redazione consiglia:
Il mondo alla rovescia di Otar IosselianiPrima di essere un regista Iosseliani infatti era un musicista, diplomato in pianoforte, composizione e direttore d’orchestra, poi aveva fatto studi di matematica e solo dopo si era diplomato (nel 1961) al celebre Vgik, la scuola di cinema di Mosca.

È STATO uno dei giovani trasgressivi del cinema degli anni settanta, con il cognome neanche russificato come succedeva a tanti altri (e scritto con due esse come traslitterava lui stesso dall’alfabeto georgiano) più o meno tollerato dalle autorità sovietiche perché la sua specialità era la commedia, e in più quella tipica che proveniva dalla Georgia alla periferia dell’impero.
L’effetto di novità assoluta lo fece il suo primo lungometraggio C’era una volta un merlo canterino (1970), dove il giovane Guia gironzola per Tblisi andando per lo più al bar con gli amici e dietro alle ragazze. Era un personaggio che potevamo associare ai tanti altri coetanei delle nuove onde dei paesi dell’est, alle margheritine di Chytilova, all’Andrzej di Skolimowski, in Rysopis, perfino a Belmondo o Antoine Doinel in giro per Parigi ma la differenza era che Guia un impiego fisso lo aveva, in un regime dove essere senza lavoro era considerato fuori legge, era suonatore di timpani in un’orchestra, dove arrivava sempre in ritardo, proprio alla fine del concerto perché tanto doveva intervenire solo nel finale. E mentre se ne va in giro per la città incontra una società molto simile a tutte quelle mediterranee, piuttosto incuranti delle regole.

Otar Iosseliani
Sono un rappresentante della cultura mediterranea che ha le sue radici nell’antichità. A dispetto dei cambiamenti dell’era sovietica questa tradizione continuaAncora di più in Pastorale (1975) dove un’orchestra di città arriva in un villaggio a fare le prove e senza che succeda quasi nulla, o che i sofisticati musicisti metropolitani incrocino le loro abitudini con quelle dei paesani, tanto da provocare gli strali della censura per il caustico comportamento dei paesani incuranti di permessi e burocrazia, e soprattutto del potere centrale.
Solo qualche anno dopo si vide al festival di Torino Ghisa presentato come il suo saggio di diploma, che in realtà era stato il censurato Aprile, storia di un amore che finisce quando agli sguardi teneri dei due si inseriscono via via gli oggetti che riempiono il loro appartamento. Ghisa è una sintesi di fantastico humour, cortometraggio sulla «classe operaia in una fonderia», così lo aveva presentato alla commissione di censura, ma in realtà era quasi tutto girato al momento delle pause di lavoro, con gli operai intenti a cuocere spiedini sulle piastre di ghisa rovente e asciugare le camicie vicino ai forni accesi. Il regista raccontava la sua stessa esperienza, infatti aveva preferito entrare lui stesso in una fabbrica metallurgica invece di girare a vuoto proponendo sceneggiature non accettate. Ma poiché il regime non amava le cose lasciate a metà, era potuto poi rientrare nei ranghi.

Non tanto a lungo, però, infatti gli fu impedito di viaggiare quando veniva invitato in occidente. Come quando, invitato alla grande rassegna «Ladri di cinema» a Roma gli fu «sconsigliato il viaggio» dalla commissione cinema e mandò una lettera che girò fotocopiata a tutto il pubblico, dove commentava che non sarebbe mancata in seguito l’occasione di incontrarsi, parlare di cinema e bere un bicchiere di vino (con il vino, dono degli dei i georgiani brindano a tutto, anche alla morte, aiuta a non prendere niente sul serio).

NEL FRATTEMPO si presentava: «Per darvi un’idea di me vi dirò che sono alto, magro, calvo, ho i baffi, di solito sono triste, ma qualche volta molto allegro, non ho una grande opinione del mio mestiere, penso che sia semplice e faticoso».
Quando le autorità cominciarono a non inviare più i suoi film in occidente decise di stabilirsi in Francia, pur senza mai prendere lo status di esule politico, in modo da poter tornare nel suo paese: infatti, raccontava, quando negli ultimi anni poté tornare a girare a Tbilisi, la location fu la sua stessa casa, con tutti gli arredi rimasti intatti. Per la televisione francese gira l’episodio Euskadi facente parte di una serie girata da autori stranieri, dove mette in evidenza similitudini con il suo paese, mettendo in evidenza la consuetudine di danzare e cantare insieme, un elemento, sosteneva, che indica l’alto livello culturale di un paese, come metterà in scena più di una volta nei suoi film successivi.

Otar Iosseliani
Una cosa unifica la Georgia, il sentimento che bisogna viverla la vita, perché essa non durerà a lungo. Lo si fa cantando, bevendo e pensando, cioè con una tristezza artisticaCon I favoriti della luna (1984) inizia a osservare le società del nord Europa, a coglierne con pericoloso acume gli elementi di una lenta dissoluzione, le assurdità di vita quotidiana contemporanea o tramandata nel tempo. Dal microcosmo di un quartiere parigino dove si incontrano anarchici, clochard, gendarmi. Arriva poi a filmare cinque monaci nella loro vita quotidiana in Un piccolo monastero in Toscana, girato nell’abbazia di Sant’Antimo a Castelnuovo dell’Abate (Montalcino) perfetto esempio di forma musicale impiegata nella costruzione del montaggio cinematografico.

IMPREVEDIBILMENTE è un villaggio africano al centro di Un incendio visto da lontano (1989) dove la vita scorre tranquilla, i rituali sono pieni di significato finché non arrivano le multinazionali a distruggere tutto, sintetizzati dalla struggente scena delle divinità lignee vendute a poco prezzo sui marciapiedi parigini. In fondo è sempre di un villaggio in Georgia che ha continuato a parlare, lo affermava lui stesso, raccontare la sparizione delle tradizioni e dei costumi antichi rispetto all’omologazione che si coglie in tutti i paesi occidentali. Sarà così anche in Caccia alle farfalle (1992) dal titolo demodé come l’ambientazione: questa volta sono i giapponesi a mettere gli occhi su un castello nella provincia francese.
Dopo diciassette anni Iosseliani torna in Georgia a filmare Briganti (1996) gioco di potere che rimane invariato nei secoli, con una parte giocosa, ma dove la parte seria prende per la prima volta il sopravvento, sfociando inevitabilmente nella feroce guerra civile.
Più lirici gli ultimi film da Addio terraferma a Lunedì mattina, con un continuo gioco di rimandi, popolati dai più stravaganti personaggi (e animali) come in Giardini in autunno e Chant d’hiver, a indicare ancora una volta che tutto è vanità, ma deve essere raccontato con grazia.

Una filmografia di fantasia apolide
934: Nasce a Tbilisi, in Georgia 1958: «Aquarel», il suo primo cortometraggio, realizzato all’interno del corso di cinema al VGIK di Mosca, dove approda dopo gli studi di matematica e di pianoforte. 1961: «Aprile» 1966: «Falling Leaves», il debutto nel lungometraggio, a cui seguono «C’era una volta un merlo canterino» (1970) e «Pastorale» (1975) che provocano molti conflitti con le autorità e la censura sovietica, portando Iosseliani alla decisione di lasciare l’Urss per la Francia. 1983: «I favoriti della luna», è il primo film francese del regista, nel quale «ricostruisce» la sua personale Georgia a Parigi insieme agli amici francesi conosciuti in Unione sovietica, tra cui il regista Pascal Aubier, lo storico del cinema e critico Bernard Eisenschitz, Mathieu Amalric che allora ha 19 anni ed è al suo primo film, figlio del corrispondente di «Le Monde» a Mosca. Il film viene presentato alla Mostra di Venezia come il successivo «Un incendio visto da lontano» (1989) vincendo con entrambi il Leone d’argento. 1999: «Addio terraferma» viene presentato fuori concorso al Festival di Cannes. Per conoscere il cinema di Iosseliani : «Ioseliani secondo Ioseliani. Addio terraferma» a cura di Carlo Hintermann, Luciano Barcaroli, Daniele Villa (Ubulibri)