“Ludwig Pollak, archeologo e mercante d’arte: una mostra a Roma”, di Francesca Di Castro

Werner F, Ritratto di L Pollak, 1925, Museo di Roma
F. Werner, “Ritratto di L. Pollak” (1925)

Mio padre raccontava che gli ebrei romani non potevano e non volevano credere alle storie che pur circolavano di retate e di violenze che sarebbero avvenute in altre città europee. In Italia, a Roma non sarebbe potuto accadere. Eppure tutti pativano le leggi razziali, le discriminazioni, le difficoltà per lavorare, per studiare, le vessazioni, le umiliazioni. Ma gli ebrei romani erano saldi nella certezza che a Roma non sarebbe potuto accadere niente di peggio. Anche il prof. Pollak (Praga 1868-Auschwitz 1943) era dello stesso avviso. Era un noto studioso, apprezzato e conosciuto da tutti, in Europa e in America, uno dei maggiori esperti d’arte antica, di statuaria, di oggetti di scavo, di pietre incise, di gioielli. Proverbiale la sua capacità di distinguere il vero dal falso, il suo “fiuto” che gli aveva permesso fin dagli ultimi anni dell’Ottocento di diventare l’esperto preferito dei grandi collezionisti internazionali, dal 1898 in particolare, quando aveva saputo capire, solo da una foto vista da un antiquario, che la statua oggi conosciuta come “Fanciulla di Anzio”, alla quale non era stato dato gran peso perché reputata una copia, era in realtà un originale ellenistico del III sec. a.C., statua che sarebbe poi stata acquistata nel 1909 dallo Stato italiano per l’incredibile somma di 450.000 lire dell’epoca.

Eppure era stato avvertito. Amico e fiduciario di tante personalità e di uomini di cultura, collaboratore e consigliere di tanti personaggi influenti e bene informati, era stato pregato di lasciare Roma e l’Italia, ma il professore era rimasto irremovibile. Non avrebbe lasciato la sua città adottiva, “la sua alfa e omega”, come amava definirla. Sembra che persino un funzionario dell’Ambasciata tedesca presso la Santa Sede lo avesse avvertito della retata imminente e che Mons. Fioretti inviasse un’automobile per prelevare la famiglia Pollak e condurla in Vaticano, ma l’archeologo non volle mettersi in salvo. Mio padre se lo ricordava bene il “professore” e ricordava la sua bellissima abitazione a Palazzo Odescalchi a SS. Apostoli. Lo conosceva da sempre, abituato a vederlo in compagnia di qualche antiquario o di qualche studioso, tra via del Babuino e piazza di Spagna. Era entrato spesso anche nel nostro negozio all’angolo con via Alibert, sempre interessato soprattutto allo scavo e ai marmi. Mio padre era solo un ragazzo all’epoca, ma già si divideva tra lo studio, la scuola del nudo per imparare a modellare, e il negozio. Tante volte aveva fatto quelle scale di Palazzo Odescalchi per consegnare una fattura o un pacco. E gli erano rimaste impresse quelle sale luminose arredate con gusto e piene di tante opere d’arte, raccolte dal professore nei quasi cinquant’anni di residenza a Roma, che lui – aspirante antiquario – guardava con ammirazione e con soggezione, consapevole della fama dell’anziano archeologo. Anche Eugenio Di Castro, mio nonno, era stato avvertito dagli stessi personaggi illustri che conoscevano Pollak e aveva dato loro ascolto. Aveva trovato il modo di avere i documenti falsi per i figli e trovare il luogo dove nasconderli: il primogenito Nicola nella canonica in Vaticano e il giovane Angelo, mio padre, a S. Maria in Campitelli. La sua foto vestito da seminarista era già pronta, insieme all’abito. E mentre mio padre la mattina del 16 ottobre 1943, ancora prima dell’alba, indossava quell’abito e accompagnato da un vero sacerdote veniva accolto in convento, e mentre in Ghetto iniziava la retata, a palazzo Odescalchi la polizia portava via la famiglia Pollak (il professore con la seconda moglie e i suoi figli), destinazione Auschwitz, senza ritorno.

Ludwig Pollak era nato nel ghetto di Praga nel 1868 in una famiglia ebrea osservante poverissima che commerciava in tessuti antichi. Da lì nasce la sua grande passione per l’antichità che lo vede seguire gli studi universitari all’Università di Vienna e laurearsi in archeologia, per trasferirsi subito dopo, grazie ad una borsa di studio, a Roma dove frequenta l’Istituto Archeologico Germanico ed ha la possibilità di essere presentato ad alcuni tra i maggiori collezionisti romani dell’epoca: il conte Tyszkiewicz, il principe Del Drago, il senatore Giovanni Barracco e Augusto Castellani, “il re degli antiquari romani”.
In breve Pollak seppe conquistare la loro fiducia, grazie alla grande competenza e al famoso “fiuto” che l’antiquario Augusto Jandolo ricorda nel suo Le memorie di un antiquario: “Il dottor Pollak ha naso! Questa è la frase che ho sentito ripetere più volte! Infatti gli basta un colpo d’occhio per esprimere un giudizio!”. I suoi successi come antiquario si susseguirono sia come intermediario dell’americano Edward Perry Warren, mecenate del Fine Arts Museum di Boston, sia come fiduciario dell’industriale danese Carl Jacobsen, fondatore del Museo Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen. Nello stesso periodo un’altra scoperta gli aprì definitivamente il mondo del collezionismo internazionale, dominato da due personaggi di grande importanza, Wilhem von Bode, direttore dei musei di Berlino, per il quale Pollak divenne agente per l’archeologia romana e Bernard Berenson, considerato il maestro del gusto dell’epoca. Intorno al 1908 in casa del conte Gregorio Stroganoff a via Gregoriana, Pollak notò una statua di Atena relegata in un locale di servizio perché ritenuta falsa. Parlatone al proprietario, questi se ne disfaceva subito, ma dopo qualche settimana Pollak rintracciò la statua in un magazzino in via Margutta di proprietà di Filippo Tavazzi, antiquario tuttofare del conte Stroganoff. Studiandola, l’archeologo poté dimostrare la sua autenticità: si trattava di una copia romana dell’Atena di Mirone del V secolo a.C., appartenente al gruppo Atena e Marsia. Verrà acquistata in seguito per il Liebieghaus di Francoforte.

Atena Stroganoff,rid
Nonostante i suoi successi e la sua notorietà indiscussa, Ludwig Pollak venne presto dimenticato, tranne forse per la sua più famosa scoperta, quella del braccio mancante al gruppo ellenistico del Lacoonte vaticano, scoperta capitata, sempre grazie al suo “fiuto”, semplicemente visitando, come era suo solito, i rigattieri e i marmorari sull’Esquilino: in un laboratorio di via delle Sette Sale, vide un frammento marmoreo di braccio ripiegato e, saputane la provenienza dalla vicina via Labicana, lo acquistò. Il suo eccezionale intuito e la sua preparazione gli avevano permesso di formulare l’ipotesi, poi rivelatasi vera, che quel frammento appartenesse al gruppo marmoreo scavato quattrocento anni prima lì nei pressi e custodito in Vaticano. Il dono del “braccio mancante” ai Musei papali gli varrà il riconoscimento della Croce alla cultura da parte di Pio X.

Appassionato studioso di gemme incise, tessere in osso e gioielli antichi, Pollak aveva avuto l’incarico dal conte Alexander J. Von Nelidow, diplomatico russo che aveva trascorso 14 anni a Costantinopoli, di ordinare e catalogare la sua eccezionale collezione di oreficeria antica. Ne nacque la prima monumentale opera di catalogazione sistematica pubblicata in una preziosa veste tipografica nel 1903, in soli 300 esemplari. Altrettanto prezioso fu il catalogo Piece de choix de la collection du Comte Grégoire Stroganoff, scritto insieme ad Antonio Muñoz, e quello sulle raccolte di bronzi rinascimentali di Afredo Barsanti con prefazione del grande Bode, del 1922.

Non facile fu la vita di Pollak tra le due guerre. Dopo il sequestro dei suoi beni nel 1918, come “nemico di guerra”, nel 1921 fu soggetto a un decreto di espulsione, accusato di aver compiuto illeciti nel commercio delle opere d’arte. La vicenda si protrarrà fino al 1923, ma ormai tutto era cambiato. Nel 1925 viene espulso dall’amatissima Biblioteca Hertziana dal nuovo direttore Bruhns, che dopo la scomparsa della fondatrice Henriette Hertz e del direttore Steinmann, entrambi ebrei, “intendeva completare il processo di germanizzazione dell’Istituto”. Le leggi razziali del 1938 determineranno le note restrizioni e obbligheranno Pollak, preoccupato dell’evoluzione degli eventi, a mettere all’asta la maggior parte delle sue collezioni.

A 150 anni dalla nascita e a 75 dalla morte, la mostra Ludwig Pollak. Gli anni d’oro del collezionismo internazionale, curata da Claudio Parisi Presicce e da Orietta Rossini (11 dicembre 2018 – 5 maggio 2019) ricostruisce la vita e l’intera attività di uno dei maggiori protagonisti del mercato antiquario internazionale tra Ottocento e Novecento, rendendogli finalmente il giusto merito come studioso, archeologo, esperto d’arte e collezionista, che, se prestò la propria opera di mediatore per tante vendite all’estero, non mancò di proporne altrettante allo Stato italiano a un costo contenuto, e di donare tante altre opere d’arte ai musei romani: trentadue solo al Museo Barracco. E non a caso la mostra a lui dedicata si divide tra il Museo Ebraico e il Museo Barracco, museo di scultura antica realizzato da Giovanni Barracco, senatore e deputato del Regno e grande mecenate e collezionista, amico di Pollak che gli fu consigliere e che sarà direttore e conservatore del suo museo, lasciato da Barracco per volere testamentario alla città di Roma.

Delle oltre cento opere in mostra, molte, direttamente o indirettamente, conducono a Pollak, sia perché acquistate da Barracco su consiglio di Pollak, sia per provenienza dal lascito dell’unica superstite della sua famiglia, la cognata di Ludwig, Sussmann Nicod, che donò al Comune di Roma quanto restava della collezione dell’archeologo. In mostra opere provenienti da Palazzo Braschi e dai Musei Capitolini – alcune mai esposte -, trenta sculture acquistate da Giovanni Barracco dietro suo consiglio, i dipinti di casa Pollak, ma soprattutto tanti documenti inediti, rari cataloghi e libri a lui appartenuti e i suoi famosi Diari, 25 volumi in gran parte ancora inediti, vergati di suo pugno durante il corso di tutta la sua vita.

Francesca Di Castro

 

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