Molte sono le sepolture, più o meno illustri, nell’area della chiesa
di Santa Sabina. Le più antiche risalgono all’VIII secolo. Quelle
del IX e del X secolo sono state rinvenute nell’area originariamente
occupata dal quadriportico paleocristiano, lungo i muri perimetrali
e all’esterno della navata destra. Dall’arrivo dei Domenicani, nel
Duecento, fino al Rinascimento, le tombe invadono l’interno della
chiesa, a cominciare dall’ingresso. Le più antiche sepolture rimaste
di quell’epoca sono quelle di Perna dei Savelli e di Odilena
Manganella. Molto belle anche le lapidi con le figure di Antonio
Ferracuti e di Stefania dell’Isola. Le tombe dei partigiani
alsaziani di Arrigo VII di Lussemburgo, come quella di Egidio di
Varnspernach, abate di Wissemburg, ricordano la battaglia dal
tragico esito svoltasi nel 1312 presso Castel Sant’Angelo tra Guelfi
e Ghibellini in occasione dell’incoronazione di Arrigo VII in
Laterano, compiuta abusivamente da tre cardinali, dal momento che il
pontefice Clemente V si era rifugiato ad Avignone.
La più
interessante delle sepolture medioevali, però, è quella del settimo
maestro generale dei Domenicani, fra’ Munio da Zamora, con un
rarissimo esempio di ritratto a mosaico cosmatesco. Eletto generale
nel 1285, il religioso era stato deposto da papa Nicolò IV per una
questione legata alla regola del Terzo Ordine. Fu eletto vescovo di
Palencia, ma si dimise dopo solo due anni per ritirarsi nel convento
di Santa Sabina, dove morì nell’Anno Santo del 1300, il 7 marzo.
Autore del mosaico dovrebbe essere stato il domenicano fra’ Pasquale
da Viterbo, cui si attribuisce anche il tabernacolo per gli oli
santi, collocato a sinistra dell’ingresso alla sacrestia.