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ANTON FRANCESCO GRAZZINI
(detto "Il Lasca", 1503-1584)
 
di: Giovanni Dall'Orto

Anton Francesco Grazzini in un'incisione settecentesca di Francesco Rosaspina
Anton Francesco Grazzini in un'incisione di F. Rosaspina. (Grazie a Luca Bertelloni per l'invio).
Scrittore e poeta.

Anton Francesco (o Antonfrancesco) Grazzini, detto "il Lasca", nacque a Firenze da una famiglia di farmacisti (ma il padre era notaio) e pur non avendo seguito un ciclo regolare di studi riuscì a costruirsi una vastissima cultura, anche se non apprese né il greco né (pare) il latino. 

Come letterato Grazzini fu un protagonista della cultura toscana dell'epoca, al punto che nel 1540 compare tra i fondatori dell'Accademia degli Umidi e nel 1582 della più famosa accademia d'Italia, l'Accademia della Crusca (tutt'ora esistente), una società letteraria creata per mantenere la "purezza" della lingua italiana.

Il posto nella storia della letteratura Grazzini l'ha conquistato con le sue sette commedie (La gelosia [1551], La spiritata [1560], La strega, La sibilla, La pinzochera, I parentadi, L'arzigogolo) e soprattutto con la sua raccolta di novelle, Le cene, costruite sulla lezione del Decamerone del Boccaccio.

Grazzini fu letterato "borghese" ed anti-classicista (in un'epoca in cui le élites borghesi italiane si stavano lasciando assorbire dall'aristocrazia, adottandone mentalità e cultura), e difese sempre l'uso "democratico" dell'italiano contro quello, aristocratico e cortigiano, del latino e del greco, combattendo la sua battaglia anche con l'ironia, l'umorismo e la satira.

Per questo in poesia fu continuatore della tradizione fiorentina di poesia giocosa, popolaresca e bernesca.[1]; in difesa di tale tradizione letteraria curò anche la pubblicazione a stampa delle poesie del Berni, del Burchiello, e di altri poeti berneschi e burchielleschi.
Significativo per noi è il fatto che in questo linguaggio Grazzini scrisse una serie di poesie scherzose in cui confessa spontaneamente i propri gusti omosessuali dei quali, se non ce ne avesse parlato lui stesso, noi non avremmo oggi altra testimonianza.

Dopo una vita priva di eventi di rilievo, dedicata alla letteratura e trascorsa senza mai sposarsi, morì a Firenze e fu sepolto nella tomba di famiglia nella chiesa di san Pier Maggiore (abbattuta nel 1784).
 

Veduta di Firenze nel Cinquecento
Veduta di Firenze nel Cinquecento


L'omosessualità appare nell'opera di Grazzini sotto luci diverse, addirittura opposte.

1) In un nucleo di poesie burlesche egli beffeggia il poeta Benedetto Varchi per la sua pretesa di "nobilitare" in poesia i suoi amori omosessuali sotto una patina neoplatonica e soprattutto petrarchista. Usando il linguaggio crudo e diretto della tradizione popolare, Grazzini demolisce le pretese di "spiritualità" delle poesie del Varchi, insistendo che al di sotto cova sempre il desiderio sessuale:
 

A braccia aperte ed a brache calate
v'aspetta il vostro Bembo a Campi Elisi [= in Paradiso] 
(...)
 ma dove, Varchi, ohimè! dove lasciate
i vostri vaghi e leggiadri Narcisi?
Altro ch'udir tra loro e fare a i visi [altro che parlarsi e guardarsi]
non posson quelle genti fortunate.
 Laggiù non si può far come Tommaso [cioè toccare, NdR]
per che il palpar e 'l mangiar vi si vieta,
coll'altro senso [assieme all'altro piacere] di cui non fo caso. [2]

2) In un altro gruppo di poesie Grazzini loda la bellezza dei ragazzi e dei Testa del San Giorgio di Donatello, al museo del Bargello, Firenzegiovani, parlando con quella franchezza che rimproverava al Varchi di non usare, per esempio nella "Madrigalessa IX[3], nella quale parla della sua ossessione amorosa per un certo Liliano, o nel divertente "Capitolo in lode della statua di san Giorgio[4], nel quale spiega di essersi innamorato della statua di san Giorgio scolpita da Donatello (oggi al Bargello): oltre ad essere un bellissimo giovane, scrive Grazzini, la statua ha rispetto ai ragazzi in carne ed ossa il vantaggio di non chiedere soldi, di non andare in giro per taverne e bordelli, di non provar fastidio se si passano ore ad ammirarne la bellezza, di non essere conteso da altri "buggeroni" [sodomiti] e di non invecchiare mai, in modo da non costringere a trovare ogni due o tre anni un nuovo amante.
Praticamente ci ha descritto (in negativo) quale fosse il comportamento tipico del giovane amante fiorentino di quel periodo.

In questo gruppo di scritti sorprende il modo in cui Grazzini infila il tema dell'omosessualità anche laddove parrebbe impossibile introdurlo: così ne "In lode del bagnarsi in Arno
esalta la possibilità di toccare e "brancicare", mentre si scherza e gioca nell'acqua, giovani seminudi, dato che nessuno fa caso alla cosa:
 

 "È stato sempre questa costumanza
che all'acqua sia, e in Arno feriato [= che in Arno/nel sesso 
non valgano le solite convenzioni sociali, NdR]
non so già, s'ell'è buona o trista usanza.

 Basta, ch'ognuno è tocco [palpato] e brancicato,
o bello, o ricco, e' non vi si pon cura:
chi s'adirasse, sarebbe uccellato [schernito];

 però [perciò] vi si procede alla sicura.
Guardate or voi, se quivi un compagnetto
fa la sua mano [non fa la sua parte], e s'egli ha gran ventura.

 Chi vuol tosto imparar, senza sospetto
d'affogar, vada ove sia gente assai:
questo è tra gli altri modi il più perfetto.
(...)

Domenico Passignano - Dettaglio da _I bagni a san Niccolò_
Domenico Passignano: I bagni a san Niccolò, dettaglio.
 Giovini, fate d'aver sempre presso
qualche persona valente e fidata,
di questi notator, che sono adesso.

 Scherzar nell'acqua e fuori alcuna fiata [un poco]
giostrando e combattendo, assai diletta,
e piace sommamente alla brigata.

 Chi vuol la sua persona bella e schietta
mostrare: e chi destrezza e gagliardia:
ed altri, com'egli è, roba perfetta;

 poi correndo e scherzando tuttavia [sempre],
saltar nell'acqua, l'un l'altro tuffando:
beato chi ha più forza e balia!" [5].

Oppure ne "In lode della palla al calcio" loda il calcio fiorentino (che somiglia un po' al rugby), perché offre la possibilità di abbracciare e stringere finalmente il corpo di un bel ragazzo a lungo desiderato con la scusa di impedirgli di prendere il pallone:
 

 "E molte volte un giovane è concesso
di toccar ad un pover compagnetto,
che in altro mo' [modo] non gli saria mai presso.

 Quest'è un largo dono, un gran diletto,
che se v'è alcun tra gli altri che ti piaccia,
tu'l segui tanto che vieni all'effetto [arrivi vicino];

 poi fai le vista [fai finta] che ti sconci o impacci,
in tanto le sue membra vaghe e belle
a dispetto del ciel stringi ed abbracci[6].

3) In un altro gruppo di poesie Lasca usa poi i doppi sensi berneschi e burchielleschi per esprimere concetti crudamente sessuali, come nel celebre "Capitolo della salsiccia[7], o nel più modesto "Per un cacciatore", che descrive l'abilità nel "battuage" di un certo Squitti:
 

Un altro Squitti si trova a Ligliano,
il quale è gentiluom, giovine e bello;
colla balestra mai non tira in vano,
ch'ad ogni colpo ne vien giù l'uccello;
 poi col suo cane [= membro virile, NdR] e la pertica in mano
fa di volpi e lepron strage e macello.
Vedele a covo [le stana], e per gire a frugnuolo [andare a caccia di notte]
è ne' boschi e nel letto al mondo solo. [è unico] [8]

E si noti che i doppi sensi sessuali sono presenti anche nelle altre meno esplicitamente "erotiche": ad esempio "giocare a calcio" e "bagnarsi in Arno" sono anche metafore per "compiere l'atto sessuale".

4) Per finire, in alcuni scritti satirici Grazzini sposa la condanna sociale dei sodomiti per colpire rivali letterari, accusandoli di sodomia, arrivando nella novella II 7 delle Cene [9] a presentare la punizione d'un insegnante tradizionalista (un "pedante") per avere osato abbandonare la sodomia (omosessuale), tipica della sua categoria, e corteggiare... una donna!

O ancora, nei due finti epitaffi contro un "cavalier Covoni", scrive:
 

"Qui il cavalier Covoni è sotterrato,
d'ogni luxuria masculina scuola,
ch'avendo un cazzo in cul e l'altro in gola,
morì per non poter raccorre [tirare] il fiato.

**

Qui giace il cavalier del poppar pazzo
che munse in vita i cazzi fiorentini
or n'è beffato in ciel da' cherubini
perché gli han un bel viso e non han cazzo"[10]

Lapide che ricorda Grazzini nell'odierna Farmacia del Moro a Firenze.
Lapide che ricorda Grazzini nell'odierna "Farmacia del Moro" a Firenze. (Foto di G. Dall'Orto).

È evidente che l'ampio spazio dato da Grazzini all'omosessualità nella sua opera ha una doppia radice: da un lato per una polemica "borghese" e realistica contro la letteratura di Corte, sempre più rarefatta e anti-realista; dall'altro per una motivazione personale, che solo lo schermo di una plurisecolare tradizione rinascimentale italiana permetteva di esprimere in modo socialmente accettato.

Grazzini appartiene in effetti all'ultima generazione di letterati italiani che poté sfruttare questa tradizione, prima che la Controriforma chiudesse ogni possibilità di parlare di omosessualità, arrivando nel 1573 ad imporre la mutilazione a scopo di censura dello stesso Decameron, per secoli considerato testo fondamentale della lingua italiana.

In questa battaglia culturale Grazzini appartenne al partito perdente, quello anti-aristocratico, ma è interessante notare come il tentativo opposto, compiuto dal Varchi, di sposare la letteratura di Corte e il petrarchismo per dare una veste socialmente accettabile ai desideri omosessuali, abbia anch'esso fallito.
Il trionfo della Controriforma comportò infatti anche il trionfo della proibizione di parlare in qualunque modo di omosessualità, facendo sparire il tema dalla letteratura italiana (con la sola eccezione delle frange "libertine"), per oltre due secoli.
 

La farmacia del Moro dei Grazzini nel XVI secolo, in una ricostruzione moderna
A sinistra, la "Farmacia del Moro" dei Grazzini nel XVI secolo, in una ricostruzione moderna. A destra, la stessa farmacia nel dicembre 2002 (foto di G. Dall'Orto).

L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina.

Note

[1] Giovanni Dall'Orto, voci: "Bernesque, poetry", "Burchiellesque, poetry", in: Wayne Dynes and Warren Johansson (a cura di), Encyclopedia of homosexuality, vol. 1, St James Press, New York and London 1990.

[2] Guido Davico-Bonino (a cura di), Opere di Anton Francesco Grazzini, Utet, Torino 1974, pp. 300-301

[3] Anton Francesco Grazzini, Le rime burlesche edite e inedite, Sansoni, Firenze 1882, pp. 261-263.

[4] Ibidem, pp. 526-529.

[5] Guido Davico-Bonino (a cura di), Opere di Anton Francesco Grazzini, Utet, Torino 1974, pp. 412-416.

[6] Ibidem, p. 42.

[7] Piero Lorenzoni, Erotismo e pornografia nella letteratura italiana, Il formichiere, Milano 1976, pp. 49, 197-201.

[8] Davico-Bonino, Op. cit., p. 394.

[9] Vedila, per esempio, in: Davico-Bonino, Op. cit.

[10] Anton Francesco Grazzini, Op. cit., p. 639. I cherubini erano rappresentati con un viso di bambino o di ragazzo con due ali, ma senza corpo.


Originariamente edito parzialmente in traduzione inglese sul Who's who in gay and lesbian history (a cura di Robert Aldrich e Garry Wotherspoon), vol. 1, ad vocem. Ripubblicazione consentita previo permesso dell'autore: scrivere per accordi.

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